IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto da casa di cura "Villa Letizia" S.r.l. rappresentata e difesa dagli avv.ti Fausto Maniaci, Aldo Bozzi e Claudia Gatti ed elettivamente domiciliata presso lo studio degli ultimi due in Milano, largo Ildefonso Schuster; Contro la regione Lombardia, in persona del presidente della Giunta regionale in carica, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall'avv. Pio Dario Vivone ed elettivamente domiciliata presso lo stesso in Milano, via Fabio Filzi 22; Per la sospenione del decreto n. 61476, n. 643 di settore, emesso dal presidente della Giunta regionale Lombardia in data 5 giugno 1988 e di tutti gli atti connessi; Visto il ricorso depositato in data 18 giugno 1998 dalla societa' istante, contenente la richiesta di provvedimento ex art. 700 c.p.c. avverso la determinazione in epigrafe, con cui l'assessore regionale alla sanita' ha sospeso, a decorrere dalla data di notifica di essa intervenuta in data 12 giugno 1998, l'esercizio dell'attivita' sanitaria nella Casa di cura privata "Villa Letizia" S.r.l., con sede in Milano, via Donizetti, 12, per un periodo di trenta giorni, subordinando l'autorizzazione alla ripresa della stessa attivita' all'accertata eliminazione di ogni irregolarita'; Uditi i procuratori delle parti convocati a mezzo fax in data 18 giugno 1998; F a t t o Con ricorso depositato in data 18 giugno 1998 la casa di cura "Villa Letizia", con sede in Milano, via Donizetti, 12 ha richiesto la sospensione ante causam del provvedimento 5 giugno 1998, n. 61746, con cui il presidente della Giunta regionale della Lombardia, e per esso l'Assessore regionale alla sanita', ha disposto la sospensione dell'esercizio dell'attivita' sanitaria della suddetta clinica per trenta giorni a decorrere dal giorno di notifica dello stesso provvedimento, intervenuta in data 12 giugno 1998. A sostegno della introdotta domanda l'istante ha integralmente riprodotto il contenuto di ricorso in sede giurisdizionale in corso di notificazione, denunciando sotto piu' profili sia l'illegittimita' della indicata determinazione regionale sia il gravissimo danno arrecato dalla sua immediata esecuzione. In particolare la ricorrente, dopo aver premesso di essere una societa' di servizi e di porre in quanto tale a disposizione di sanitari liberi professionisti le proprie sale operatorie e le stanze di degenza per i pazienti di questi ultimi, ha allegato la violazione del principio generale di partecipazione stabilito dalla legge 7 agosto 1990,n. 241 e, nella specie, anche dalla l.r. 6 febbraio 1990, n. 7, nonche' difetto di motivazione: la nota informativa della Guardia di finanza - Nucleo di polizia tributaria di Milano, peraltro non allegata al provvedimento regionale, avrebbe evidenziato l'esistenza di una sotto fatturazione di alcuni interventi chirurgici effettuati dal dott. Angelo Emilio Villa e la conseguente irregolare compilazione delle relative cartelle cliniche negli anni 1995-1996, altrettanto arbitrariamente trascritte nel registro degli interventi chirurgici della casa di cura. L'ordine di sospensione, che contesta la violazione degli artt. 22 e 32 dell'all. 1, parte III, della menzionata legge regionale e che si giustifica sul piano amministrativo per la correlata incisione "dell'aspetto fiduciario e di buona fede che dovrebbe caratterizzare il rapporto fra regione ed ogni struttura sanitaria", sarebbe ad avviso dell'istante illegittimo, oltre che per i gia' illustrati profili, anche per l'affermata estraneita' della casa di cura ai fatti contestati al libero professionista e per il mancato inoltro della previa diffida ad eliminare le contestate irregolarita', prescritta dalla stessa legge regionale. Un'ulteriore illegittimita' sarebbe poi concretata dalla illustrata violazione del principio di proporzionalita', tenuto conto che, ammessa per mera ipotesi la sussistenza delle indicate irregolarita', queste hanno indotto un ordine di sospensione dell'attivita' in essere per tutti i reparti chirurgici e di degenza e non gia' soltanto per quello interessato all'appurato illecito tributario e sanitario. Per l'aspetto del danno patito dall'istante e' stata, poi, denunciata una situazione di gravissimo ed irreparabile pregiudizio anche in relazione al fatto che il calendario delle udienze di tutte le sezioni del t.a.r. Lombardia non consentirebbe l'immediato esame dell'istanza incidentale, verificandosi cosi' un "vuoto di tutela giurisdizionale cautelare ingiustificato ed inammissibile alla luce dei principi costituzionali". Lo stesso giorno del deposito delll'anzidetta istanza le parti sono state convocate per il giorno successivo a mezzo telefax davanti alla sez. III di questo t.a.r. La regione Lombardia si e' costituita nel procedimento in questione in data 19 giugno 1998, depositando fascicolo con memoria e con la nota 7 maggio 1998 della Guardia di finanza, richiamata nel provedimento regionale. Nel corso dell'udienza l'avv. Pio Dario Vivone ha dato atto a verbale della notificazione medio tempore intervenuta del ricorso in sede giurisdizionale, il cui esame era stato affidato dal presidente del t.a.r. alla sez. III in sede di decreto di abbreviazione dei termini per l'esame della richiesta incidentale di sospensione della determinazione impugnata. E' seguita largomentata illustrazione dei termini in fatto e diritto della controversia, insistendo entrambi i difensori nelle gia' precisate conclusioni. Con ordinanza presidenziale in data 19 giugno 1998 il provvedimento regionale e' stato sospeso in base all'art. 669-sexies c.p.c. nel concorso del fumus boni iuris del ricorso e della sussistenza degli illustrati danni gravi ed irreparabili. L'anzidetta pronuncia e' stata, tuttavia, emessa in via meramente provvisoria alla luce della necessita' di previamente definire le questioni di legittimita' costituzionale di cui alla seguente motivazione. D i r i t t o 1. - In sede di appello avverso due decreti emessi ex art. 700 c.p.c., nonche' di una susseguente ordinanza collegiale il Consiglio di Stato si e' recentemente pronunciato circa la possibilita' di una tutela ante causam davanti al giudice amministrativo con ordinanze 28 aprile 1998, n. 781 e 784, il cui orientamento e' stato successivamente fatto proprio anche dalla sez. IV con ordinanza 19 maggio 1998, n. 814. In dette occasioni il consiglio ha analiticamente affermato: che nell'ordinamento vigente il potere decisorio non compete al presidente degli organi giurisdizionali amministrativi, bensi' al collegio del quale egli fa parte; che l'azione cautelare prevista dall'art. 700 c.p.c. non e' esperibile davanti al giudice amministrativo, il quale emana i provvedimenti urgenti secondo la disciplina posta dall'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034; che l'applicazione dell'art. 700 c.p.c. non e' giustificata da quanto statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza del 27 giugno 1985, n. 190, posto che: a) la questione dedotta in giudizio concerne, nella parte in cui rientra nella sfena di cognizione del giudice amministrativo, una posizione soggettiva di interesse legittimo; b) la predetta pronunzia della Corte costituzionale non implica deroghe alla disciplina di cui al citato art. 21 della legge n. 1034 del 1971, salvo che per l'ampliamento dei poteri decisori del tribunale amministrativo regionale in materia di provvedimenti urgenti; che e' improprio il richiamo agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848 perche' "la specifica procedura stabilita dall'art. 21 della legge n. 1034 del 1971 non pregiudica di per se', tenuto conto della natura del danno che la parte ricorrente intende neutralizzare, la compiutezza e l'efficacia della tutela cautelare"; che il decreto emesso ex art. 700 c.p.c. avrebbe conseguentemente carattere abnorme, il che giustificherebbe il regime di impugnabilita'. 2. - In relazione alle indicate affermazioni, indubbiamente fondate sulla scorta del diritto vivente, quale integrato dalle acquisizioni della dottrina italiana e dalla concorde interpretazione giurisprudenziale, il Consiglio di Stato ha dunque negato che il giudice amministrativo possa fornire una tutela cautelare con forme e modalita' tali da consentirgli di provvedere immediatamente di fronte ad un danno grave ed imminente, non altrimenti ovviabile in capo a soggetti incisi dall'azione amministrativa: deve dunque ritenersi superata la possibilita' di richiamare la sentenza 28 giugno 1985, n. 190 della Corte costituzionale, che pure ha introdotto l'art. 700 c.p.c. nel tessuto della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, espressamente qualificandola come "necessaria norma di chiusura". Resta egualmente interdetta la valorizzazione in termini concreti e attuali di quanto allora meditatamente affermato dalla stessa Corte costituzionale, quando sottolineava che "le quante volte diritto assistito dal fumus boni iuris e' minacciato da pregiudizio imminente e irreparabile provocato dalla cadenza dei tempi necessari per farlo valere in via ordinaria, spetta al giudice il potere di emanare i provvedimenti d'urgenza che appaiono, secondo le circostanze, piu' idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito". La natura additiva della indicata sentenza della Corte costituzionale risulta, infatti, esplorata dalla dottrina e dalla giurisprudenza solo con riferimento alla novazione introdotta al potere di mera sospensione del provvedimento amministrativo impugnato e dunque in chiave esclusivamente incidentale, essendone rimasta esclusa una piu' estesa lettura, si da autorizzare forme di tutela ante causam in sede di giurisdizione amministrativa. Secondo un'ulteriore affermazione del Consiglio di Stato deve ritenersi, infine, ininfluente il richiamo agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e conseguentemente interdetta la conclusione, pur fatta propria da parte della dottrina in ordine all'intervenuto effetto conformativo introdottosi nel nostro ordinamento in virtu' della recezione e ratifica della stessa convenzione con legge 4 agosto 1955, n. 848: dal che implicitamente si desume che la stessa non avrebbe rilievo di fonte rinforzata nella gerarchia delle fonti e che non avrebbe direttamente inciso con un immediato effetto abrogativo o comunque poziore su ogni norma dell'ordinamento nazionale non conforme con il diritto al giusto processo e all'effettivita' della tutela giurisdizionale. 3. - Prendendosi quindi atto del predetto orientamento del Consiglio di Stato, cui il giudicante non intende sottrarsi deve, tuttavia, osservarsi che, a fronte di danni gravi, che incidano immediatamente sia sulla posizione di diritto soggettivo e sia su quella di interesse legittimo senza che ad essi possa recare rimedio il ricorso alla normale via giudiziaria, divengono rilevanti e non manifestamente infondate le seguenti questioni di legittimita' costituzionale: a) Sotto il primo profilo puo' osservarsi che la potesta' in concreto esercitata con la coeva ordinanza presidenziale di sospensione del decreto del presidente della Giunta regionale e' stata tratta direttamente dall'art. 669-sexies c.p.c., la cui applicazione e' avvenuta peraltro a titolo meramente provvisorio ed al solo fine di garantire medio tempore la richiesta tutela, con conseguente necessita' di un riesame da parte del giudicante alla stregua della stessa norma dopo la emananda sentenza da parte della Corte costituzionale (cfr. da ultimo Corte cost. 18 giugno 1997, n. 183). b) Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale di seguito esposte puo' premettersi che, sotto il profilo della tutela giurisdizionale, gli artt. 24 e 113 della Costituzione non la prefigurano con connotazioni diverse a seconda della posizione soggettiva di volta in volta coinvolta dall'azione amministrativa: il principio di effettivita', che nella giurisprudenza della Corte costituzionale integra un essenziale predicato della tutela giurisdizionale pare dunque destinato ad operare con eguale intensita' a favore sia dei diritti soggettivi sia degli interessi legittimi (Corte costituzionale 7 novembre 1997, n. 326). Il sospetto che l'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, che prevede esclusivamente una tutela cautelare in forma incidentale e in sede collegiale pare dunque non manifestamente infondato. Davanti a danni caratterizzati dal requisito della imminenza ed assistiti dal fumus boni iuris la necessita' della introduzione di un ricorso in sede giurisdizionale, sia pure nei limiti strettamente necessari per pervenire davanti al collegio, pare, infatti, strumento non sempre idoneo ad assicurare in concreto una tutela adeguata alla vicenda di volta in volta all'esame, il che pare postulare la necessita' di far ricorso ad una disposizione di chiusura, preordinata a consentire in via generale una protezione immediata ed ante causam per tutte le posizioni soggettive incise dall'azione amministrativa. 4. - L'art. 21 citato sembra, poi, opporsi non solo all'ipotesi di una tutela che possa necessariamente intervernire secondo il modello processuale dell'art. 700 c.p.c., ma anche all'efficce esercizio di essa in sede monocratica: ove, infatti, la domanda sia avanza davanti al tribunale ordinario, l'eventuale misura provvisoria non viene fornita dal collegio, ma da un giudice designato dal presidente del tribunale. Le ragioni sottese a siffatta scelta processualcivilistica sembrano un mero corollario delle stesse modalita' di esercizio di un servizio giudiziario, che non tollera, proprio di fronte a danni del tipo considerato, alcun intervallo temporale non strettamente ed esclusivamente finalizzato all'esame della vicenda ed alla sua immediata definizione da parte del singolo giudice. In tale puntuale accezione il ricorso all'art. 700 c.p.c. potrebbe essere stato del resto gia' autorizzato in materia di diritti dalla Corte costituzionale con la sentenza 27 giugno 1985, n. 190 sia pure limitatamente ai diritti soggettivi nel pubblico impiego. 5. - La natura di norma di chiusura dell'art. 700 e la sua peculiare finalita' sembrano, tuttavia, autorizzarne l'applicabilita' anche alla contermine area degli interessi legittimi, tenuto conto che, a prescindere dalla funzione che detta figura ha storicamente assolto nel quadro del riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e amministrativo, dottrina e giurisprudenza non hanno mancato di porre in evidenza che provvedimenti amministrativi illegittimi possono integrare, in disparte restando il tralatizio effetto degradatorio, profili di danno immediato, grave ed irreparabile, oggettivamente non contestabile quanto meno sotto il profilo della integrita' patrimoniale del soggetto direttamente inciso: dell'evoluzione di tale problematica si coglie meditato riferimento in una recente ordinanza della Corte costituzionale (8 maggio 1998, n. 165) quanto alla necessita' di prudenti soluzioni normative relativamente alla responsabilita' civile della pubblica amministrazione. Corollario del suesposto ordine di idee sembra, peraltro, la necessita' che un tempestivo intervento del giudice possa contenere e comunque il piu' possibile limitare, nel concorso dei presupposti di legge, proprio il successivo rischio di un risarcimento che la piu' vigile coscienza civile pare prospettarsi come ineludibile, sia pure in termini e con modalita' discrezionalmente vagliate dal legislatore. 6. - Detta interpretazione pare, altresi, conforme alla stessa evoluzione legislativa indotta dalle direttive europee in materia di appalti pubblici di lavori, di servizi e di forniture; sul cui fondamento la tradizionale dicotomia tra diritto soggettivo ed interesse legittimo assume rilivo totalmente recessivo ai fini del risarcimento del danno (cfr. in proposito Corte del Lussemburgo, sez. V, 19 settembre 1996 in causa C. n. 236/1995 - Commissione CE contro Governo della Grecia). Opponendosi dunque l'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 ad una siffatta interpretazione, si rende necessario sottoporre la relativa questione alla Corte costituzionale per conseguirne una pronuncia, che possa riaffermare o meno il valore di norma di chiusura del ridetto art. 700 c.p.c. e con esso la generale idoneita' del codice di rito a suppletivamente apprestare sussidio anche a quei processi che, come quello amministrativo, non prevedano, anche in relazione alla remota origine legislativa e regolamentare delle relative norme, alcuna adeguata disciplina in talune evenienze processuali, come sembra ricorrere nel caso di specie e come e' stato recentemente deciso dalla stessa Corte costituzionale in materia di opposizione di terzo. 7. - In via subordinata, e per la sola ipotesi che possa ritenersi che il letterale tenore dell'art. 700 c.p.c. debba essere circoscritto sia contenutisticamente sia teleologicamente alla sola area dei diritti soggettivi, si prospetta con riferimento a quest'ultimo una distinta questione di legittimita' costituzionale, avuto riguardo agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, nella parte in cui esso non accorda una medesima tutela urgente anche agli interessi legittimi: e cio' sulla base delle identiche argomentazioni piu' sopra svolte, rincarate dalla disuguaglianza che, quanto alla possibile tutela cautelare, privilegerebbe i diritti soggettivi rispetto agli interessi legittimi, pur a fronte di una loro costituzionale parita' di fronte alla legge.